I moderni Stati del benessere, o Welfare States, sono in buona sostanza dei meccanismi per la ridistribuzione del reddito, dai lavoratori giovani ai pensionati e dai benestanti ai poveri. In genere, questi trasferimenti di ricchezza sono finanziati mediante imposte sui redditi da lavoro, anche se naturalmente vi concorrono anche imposte di altro tipo, come quelle sul capitale. Questo sistema ha avuto meriti incontestabili nel grande miglioramento delle condizioni di vita delle classi popolari per tutto il periodo successivo alla seconda guerra mondiale, in Europa come negli Stati Uniti e in Giappone. Oggi tuttavia esso è sempre più messo a rischio dalle caratteristiche dei recenti cambiamenti economici e demografici che ne compromettono le capacità di autofinanziamento e, al limite, quelle stesse di sopravvivenza.
Agiscono in questa dIrezione due fenomeni che avvengono soprattutto nei maggiori paesi industrializzati, proprio quelli in cui lo Stato del benessere è più radicato: l’invecchiamento della popolazione (vedi grafico) e la crescente immigrazione di lavoratori a bassa qualificazione provenienti dai paesi in sviluppo, il cui contributo ai sistemi pensionistici è ridotto. Per esempio, negli Stati Uniti si prevede che il cosiddetto tasso di dipendenza, ovvero il rapporto fra gli ultrasessantenni e le persone fra 15 e 59 anni di età, salga nel prossimo mezzo secolo dal 27 al 47%. Il problema si presenta anche più grave in Europa e in Giappone, dove ci si attende un incremento di questo tasso dall’attuale 36 – 37% rispettivamente al 66 e il 70%. Già nei prossimi venti anni l’età mediana, quella che divide la popolazione esattamente in due, più giovani sotto e più vecchi sopra, passerà da 42 a 47 anni in Germania, da 42 a 51 in Italia e da 43 a 50 in Giappone. In complesso, di qui a meno di mezzo secolo – un periodo non lunghissimo sul piano demografico – nei paesi attualmente più ricchi l’incidenza della popolazione anziana sul totale è destinata ad aumentare drasticamente. Questi cambiamenti esercitano una pressione in aumento sui sistemi di Welfare e allo stesso tempo fanno crescere il carico fiscale che deve essere sopportato dai lavoratori giovani e dalle persone a reddito medio o medio – alto: a meno di ridurre significativamente il sostegno ai più anziani e più poveri.
Alcune analisi sulle conseguenze economiche di questi fenomeni portano a valutazioni particolarmente pessimistiche. Per esempio, una stima pubblicata sul McKinsey Quarterly prevede che nel corso dei prossimi 20 anni la ricchezza finanziaria delle famiglie dei paesi della Triade subirà una contrazione nell’ordine di 31 mila miliardi di dollari, dovuta soprattutto al fatto che con l’avanzare dell’età la propensione al risparmio tende a diminuire e quella a spendere ad aumentare. Se lasciata a sé stessa la contrazione del risparmio ridurrà drasticamente sia la disponibilità di capitale per gli investimenti sia la capacità contributiva complessiva dell’economia. E nessun paese sarà risparmiato. In genere si pensa che gli Stati Uniti, con una popolazione relativamente giovane e un tasso di fecondità più alto (cui va aggiunto il costante flusso di immigrazione) potranno subire conseguenze meno gravi. Ma il tasso di risparmio americano è quasi incredibilmente basso già ora, prima ancora cioè che abbiano cominciato ad andarsene in pensione i nati negli anni Quaranta e Cinquanta, la generazione del baby boom (e gli anziani pensionati risparmiano molto meno degli altri). Per finanziare il loro enorme deficit nella bilancia dei pagamenti gli Stati Uniti contano su massicci flussi di capitale dall’Europa e dal Giappone, ma proprio questi paesi devono vedersela con il rapido invecchiamento della popolazione e le sue conseguenze. E neppure paesi a crescita economica rapida e con dimensioni enormi quali la Cina saranno in grado di generare risparmi sufficienti a fare la differenza. Infatti, quand’anche la sua economia continuasse a crescere ai ritmi attuali alla Cina occorrerebbero 15 anni per raggiungere il prodotto interno lordo del Giappone: e questo solo alla condizione che gli Stati Uniti continuino a consumare ai livelli attuali, il che appare difficile se l’afflusso di capitali esteri diminuirà.
A questo quadro allarmante alcuni analisti hanno obiettato che proprio l’invecchiamento della popolazione e l’afflusso di lavoratori immigrati in paesi a democrazia consolidata come sono praticamente tutti quelli in cui questi fenomeni si verificano finiranno col far pendere la bilancia in favore del mantenimento dei sistemi di Welfare: verrebbe infatti ampliato il sostegno politico ed elettorale in favore di incrementi della tassazione (e dei corrispondenti benefici). Altri tuttavia fanno osservare che alcuni effetti indiretti dell’invecchiamento operano contro questa possibilità, fino al punto di obbligare a pesanti riduzioni delle prestazioni dello Stato del benessere. Infatti, poiché questi effetti riducono le capacità contributive dei lavoratori, i governi saranno via via costretti a basarsi sempre più sulla tassazione dei redditi da capitale: e questi ultimi sono relativamente più importanti proprio per i redditi complessivi dei pensionati anziani (questo però è probabilmente meno vero per quanto riguarda l’Italia). Più ancora, in una popolazione che cresce l’elettore mediano, che è poi quello che in definitiva determina le aliquote fiscali e i corrispondenti benefici, non è un anziano pensionato ma un lavoratore dell’età di mezzo. Che si tratti di un lavoratore istruito ad alto reddito o di uno non qualificato a reddito basso, l’invecchiamento e l’immigrazione mettono entrambe in moto delle forze che riducono le capacità contributive dello Stato del benessere.
Va poi aggiunto che l’integrazione economica avvenuta in questi ultimi lustri e in particolare la globalizzazione di molti mercati hanno radicalmente cambiato il panorama dell’economia mondiale. Dato che i sistemi del benessere basano la loro capacità ridistributiva essenzialmente sulla fiscalità e sulla sua efficienza, l’integrazione dei mercati mondiali dei capitali e in misura minore del lavoro acquistano un ruolo decisivo. La globalizzazione è anche accompagnata da una sempre più intensa concorrenza fiscale fra i vari paesi che cercano sistematicamente di accrescere la loro attrattività agli occhi degli investitori internazionali. Globalizzazione e concorrenza fiscale fra paesi stanno riducendo la base stessa dei sistemi di Welfare, il che inasprisce le difficoltà che, a causa dell’invecchiamento della popolazione, questi già incontrano nel finanziare la loro stessa ragione di esistere, la redistribuzione del reddito fra le varie categorie di cittadini.
Nel loro insieme quindi la globalizzazione e la crescente concorrenza fiscale internazionale limitano drasticamente la possibilità di spostare una quota importante del carico fiscale dai redditi da lavoro a quelli da capitale. È del tutto evidente infatti che la globalizzazione accresce grandemente la mobilità tanto del lavoro quanto del capitale rendendo loro più facile di sfuggire ai carichi fiscali che il Welfare State potrebbe cercare di imporre loro. Questo problema potrebbe essere affrontato seriamente e – forse – almeno in parte risolto solo da una più rigorosa applicazione delle norme fiscali internazionali e da un livello di coordinamento fiscale di gran lunga maggiore dell’attuale, due cose di cui al momento non si vedono neppure i presupposti.
Si deve, su queste basi, arrivare alla conclusione che i sistemi di Welfare sono destinati all’estinzione? Indubbiamente è presto per dirlo, anche perché esistono forze e fenomeni che, se opportunamente indirizzati e utilizzati, possono operare per aggiornarli e irrobustirli. Nel breve – medio periodo, tuttavia – un medio termine misurabile in non molti anni - la conclusione è abbastanza chiara: i sistemi di Stato del benessere rischiano in molti paesi di cessare di funzionare a meno che la base contributiva costituita dai lavoratori in attività non venga ampliata e irrobustita mediante l’allungamento dell’età pensionabile. Occorrono certo anche provvedimenti complementari, una gestione oculata dell’immigrazione, una adeguata incentivazione del risparmio, una politica di sostegno alla famiglia. In Italia occorre anche una spinta più decisa verso l’adozione di un sistema previdenziale a base contributiva, cioè fondato sui versamenti effettuati, in sostituzione di quello a base retributiva, cioè basato sulle retribuzioni percepite durante la vita lavorativa. Ma l’asse portante può essere solo riportare il rapporto fra lavoratori attivi e lavoratori in pensione a livelli economicamente sostenibili dai sistemi previdenziali. Questo almeno fino a quando non potrà essere concepito e attuato un sistema integrato di Welfare che coinvolga tutti o almeno gran parte dei paesi economicamente importanti: un affare che richiederà l’impegno di qualche generazione. Nel frattempo, in un ambiente economico mondiale che premia soprattutto la capacità competitiva dei vari paesi e sistemi, ognuno dovrà dimostrare, anzitutto a sé stesso, che è in grado di farcela da sé.